Onorevoli Colleghi! - La disciplina dei licenziamenti individuali rappresenta uno dei nodi più spinosi del mercato del lavoro. Attualmente in Italia per i lavoratori dipendenti delle aziende private sono in vigore due differenti discipline, a seconda che il lavoratore sia assunto in un'azienda con più o con meno di quindici dipendenti. In ogni caso il licenziamento individuale deve essere motivato da «giusta causa» o da «giustificato motivo». Qualora il magistrato stabilisca che non sussista nessuna di queste due motivazioni, nel caso di licenziamento operato in un'azienda con più di quindici dipendenti, è decretato automaticamente il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro, con condanna del datore di lavoro al pagamento di tutte le retribuzioni e di tutti i contributi relativi al periodo compreso tra il licenziamento e la sentenza, che spesso giunge dopo numerosi anni. Tale meccanismo di automaticità del reintegro è riscontrabile solo in Italia. Il licenziamento senza giusta causa operato da un datore di lavoro di un'azienda con meno di quindici dipendenti è invece sanzionato dal giudice con la corresponsione al lavoratore licenziato di un indennizzo monetario, non essendo in questo caso applicabile l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto «Statuto dei lavoratori»). L'attuale disciplina, quindi, crea un'ingiustificabile disparità di trattamento nell'ambito del lavoro dipendente privato. Ma soprattutto determina una situazione di estrema rigidità del mercato del lavoro, che è una delle principali cause dell'elevato tasso di disoccupazione in Italia - in particolare tra i giovani -, di un ricorso, fin troppo massiccio ormai, ai contratti atipici nonché dell'elevatissima percentuale di disoccupati di lungo periodo. Sul fronte delle imprese più grandi, l'articolo 18 dello

 

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Statuto dei lavoratori funziona come potente deterrente a nuove assunzioni con «normali» contratti a tempo indeterminato; per le aziende più piccole, invece, l'articolo 18 costituisce un disincentivo alla crescita degli addetti oltre le quindici unità.
      È necessario affrontare la questione dei licenziamenti individuali con grande senso di responsabilità e con forte determinazione, avendo il coraggio - un dovere, per chi abbia la responsabilità di approvare le leggi, ovvero di incidere sulla vita delle persone - di essere impopolari per non essere antipopolari. Il Paese non può rimanere ostaggio, come è stato ed è, di veti puramente ideologici, che non trovano alcun riscontro nella realtà e, anzi, ne prescindono totalmente. Chi malauguratamente si trovi a perdere il proprio posto di lavoro deve - per risollevarsi prima possibile e nel modo più soddisfacente - poter contare soprattutto su due fattori. Il primo consiste nel poter contare su un efficace sistema di ammortizzatori sociali, che assicuri una protezione adeguata per il periodo in cui si è disoccupati; su tale argomenti abbiamo già presentato una proposta di legge (atto Camera n. 2484) di riforma complessiva della materia, per il passaggio dall'attuale, gravemente insufficiente, sistema particolaristico a un sistema di tipo universalistico, che tuteli ciascuno a prescindere dalla dimensione e dalla tipologia di impresa per la quale lavora. Il secondo fattore consiste in un efficiente mercato legale del lavoro, non ingessato né bloccato da norme come l'articolo 18 che, a quasi quaranta anni dalla loro approvazione, sono divenute fattori che alimentano in misura esponenziale il fenomeno del lavoro nero, nel quale non c'è, per la persona, alcuna effettiva tutela. L'articolo 18 si è via via mutato da strumento di difesa a vero e proprio ostacolo, tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore. Se assumere diviene sinonimo di contrarre un matrimonio indissolubile, non si assume se non, appunto, in «nero». L'interfaccia della cosiddetta «libertà di licenziare» è la libertà di assumere, è un mercato del lavoro vivo e più efficiente.
      A questo scopo, la presente proposta di legge punta all'introduzione di un unico regime sanzionatorio dei licenziamenti senza giusta causa, con l'introduzione di un forte indennizzo monetario graduato in base all'età e alla professionalità del lavoratore. In questo modo si avvicina la disciplina italiana dei licenziamenti individuali a quella vigente nel resto d'Europa, offrendo ai lavoratori una tutela che non finisca per costituire un fattore di scarsa competitività delle imprese e un disincentivo alla creazione di nuovi posti di lavoro. La disposizione del reintegro nel posto di lavoro, naturalmente, resta immutata per i licenziamenti discriminatori o per rappresaglia (nel caso, ad esempio, di attività politica o sindacale).
 

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